Panificio Pau

by admin on 27/09/2012

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Ogni popolo ha un pane che racconta la sua storia. Il pane carasau racconta la storia della gente di Sardegna.   

Il pane carasau, inconfondibile per le sue sfoglie sottili e croccanti, è uno dei tanti tipi di pane prodotti esclusivamente in Sardegna, e tra i tanti è quello più conosciuto al mondo per le sue peculiarità.

Francesca Pau e la sua famiglia producono questo specialissimo tipo di pane nel loro panificio(omonimo) a Siniscola, dove siamo gentilmente ammessi ad assistere alle varie fasi della  lavorazione secondo tradizione, con l’ausilio di pochi macchinari.

Siamo arrivati al panificio alle sette e mezzo circa, e qui abbiamo trovato la famiglia che già lavorava da oltre due ore.

Quando noi siamo entrati nel loro laboratorio preparavano dei piccoli pezzi di pasta tondeggianti,  e la nostra attenzione è stata immediatamente catturata dai loro movimenti sciolti, sincronizzati, scanditi dal ritmo costante dei gesti, tipici del lavoro artigiano, che eseguivano più volte e con estrema destrezza le stesse procedure.

Francesca rammenta che tutta la procedura di preparazione del pane rispondeva ad un rituale religioso.

Come le diceva la nonna, la sacralità del pane esigeva scrupolosa attenzione e religioso rispetto.

Il compito della produzione del pane era demandato alle donne, che dovevano essere in numero non inferiore a tre. Alle donne della famiglia si aggiungevano le donne del vicinato, che in piena notte iniziavano il rito.
Ci si faceva il segno della croce prima di cominciare a impastare davanti alla madia, come si segnava con la croce ogni pane messo a lievitare prima della cottura e mai si poneva il pane al contrario : la sua posizione sacrale era la postura sullo stesso verso del forno.

Il pane richiama immagini e momenti forti pieni di calore di intensa vita familiare e affettiva.
Francesca continua dicendo che,il pane carasau è pane d’amore, perchè tiene dentro di se tutto ciò che è utile :
il nutrimento e il sapore, la sostanza e la passione.

Il pane carasau, in siniscolese “carasatu”, prende il nome dal verbo carasare, ossia tostare, è conosciuto anche come “carta musica”, per la sua somiglianza con la pergamena su cui venivano scritte le musiche sacre.

Questo ha origini molto antiche, infatti, secondo una delle ipotesi che si basa su alcune tracce rinvenute in alcuni utensili, riferibili all’età del bronzo, il pane carasau sarebbe stato già in uso presso la cultura Nuragica corrispondente appunto a quell’età preistorica.

Tra gli ingredienti storici la farina gioca un ruolo fondamentale, in quanto decide la consistenza dell’impasto, la fragranza e il gusto del prodotto finito.

Il grano da cui deriva detta farina, è il grano duro sardo denominato grano cappelli, dalla speciale spiga nera.

Anticamente costituiva l’alimento essenziale per  i pastori che andavano in transumanza con il loro gregge.

Questi ultimi, muovendosi alla ricerca di prati sui quali trovare il nutrimento per gli animali in tutti i periodi dell’anno, si spostavano verso le montagne per trascorrervi la stagione estiva portando con sé le provviste che sarebbero state indispensabili durante il periodo di lontananza dai centri abitati a dalle loro famiglie. Tornavano poi verso valle nei periodi più freschi.

Le donne che restavano nell’abitato insieme ai figli, si occupavano della preparazione del pane per tutta la famiglia, e per gli uomini che dovevano stare lontani da casa per stagioni intere, naturalmente si richiedeva un tipo di pane che fosse leggero da trasportare,  ad alto mantenimento del gusto e della croccantezza e di lunga conservazione.

Tutte esigenze di una cultura pastorale a cui ben rispondeva il pane carasau.

Sembra quindi che questo pane sia il risultato di una tecnica che si è affinata gradualmente ,attraverso una pratica millenaria, eseguita secondo regole dettate da esigenze antropologiche.

Le donne, inoltre, controllavano anche i cicli produttivi del grano duro e di tutti gli alimenti necessari alla sussistenza della famiglia.

Sotto il loro controllo, rientrava, anche la coltivazione del lino e della canapa, dalle cui piante si estraevano le fibre che poi sarebbero state utilizzate per la tessitura del corredo della casa ed in particolare dei teli, “sos pannos” (in sardo-logudorese), dove venivano adagiati e dai quali erano coperti i pani prima della cottura, in modo da poter lievitare.

“Sos Pannos” costituiscono elemento caratterizzante e fondamentale del procedimento di preparazione del pane anche all’interno del panificio Pau.

La prima fase della preparazione del pane carasau è costituita dalla creazione dell’impasto. Per cominciare, il semolato rimacinato di grano duro, unitamente alle necessarie dosi di acqua, sale e lievito di birra, sono gli ingredienti che vengono opportunamente amalgamati nell’impastatrice. Quando l’impasto è pronto, una porzione dietro l’altra, viene prelevato e disposto sul piano dove si procede con la lavorazione a mano. Attraverso la leggera pressione delle falangi e quella più energica, esercitata dagli avambracci, che imprimono un movimento rotatorio alla porzione dell’impasto, si ottiene un lungo e spesso cilindro che, una volta raggiunta la necessaria compattezza, viene suddiviso in tante sezioni di un certo spessore, le quali, ulteriormente manipolate, prenderanno la forma approssimativa di un disco più piatto e di maggiore ampiezza.

Quando una quarantina di panetti assume questa forma, questi vengono messi su un altro tavolo di legno precedentemente coperto da un panno di lino misto canapa e lasciati a riposare per circa due ore, ricoperti dagli stessi panni che ne favoriscono la lievitazione.

I panetti, dopo la lievitazione, vengono trasportati uno alla volta sul piano della sfogliatrice dove vengono condotti avanti e indietro fino ad arrivare ad uno spessore più sottile e ad una forma più tondeggiante possibile. A questo punto, la sfoglia ritorna sul tavolo dove, sotto la pressione di un cerchio di acciaio prende la forma circolare e le dimensioni volute e contemporaneamente, grazie a una precisa e rapida incisione dell’impasto lungo  la circonferenza esterna del cerchio, essa acquista la sua fisionomia finale.

Poi la sfoglia viene nuovamente adagiata sul panno, mentre le operazioni di definizione delle dimensioni e di ritaglio della circonferenza proseguono.

Una volta approntate in consistente numero, le sfoglie vengono disposte su un’altra lastra che le trasporta attraverso il forno dove,  per via della lievitazione e per effetto del calore, si gonfiano fino a sembrare dei palloni. Cioè, l’acqua dentro l’impasto è stata trasformata in vapore e questo, creando volume all’interno della sfoglia, la fa assomigliare ad una palla. I bordi della circonferenza dei «palloni» vengono forati con un coltello e con una operazione tanto repentina quanto precisa si separa la faccia superiore da quella sottostante, ottenendo così due sfoglie sottilissime, calde, morbide e dal gusto avvolgente. Questa operazione deve essere eseguita velocemente e con grande destrezza, prima che, per la fuoriuscita dell’aria, le due sfoglie si attacchino l’una all’altra.

Le due facce del disco così separate vengono disposte in una pila, una sopra l’altra. Quando la pila è abbastanza alta, si mette una tavola di legno sopra e si pressano tutte allo stesso tempo. Alla fine, le sfoglie, attraversano il forno una seconda volta, per uscire finalmente con la croccantezza e la doratura desiderate. Successivamente vengono confezionate all’interno di sacchetti di carta trasparente provvisti di etichetta e sono pronte per essere vendute.

Oltre al pane carasau, il panificio Pau, produce anche un altro tipo di pane, la spianata, (Coccone e chitta in siniscolese, ossia pane della settimana), il quale viene preparato come descritto all’inizio a proposito della preparazione del carasau, ma lavorato ottenendo uno spessore maggiore, e infornato una sola volta.

A differenza del pane carasau, nella spianata le due superfici del disco rimangono unite e quindi il prodotto ottenuto è diverso, infatti, la spianata non è croccante, ma è morbida e di spessore più consistente.

Il panificio Pau ha contribuito a fare della preparazione della ”Pompia Intrea” il recupero della tipicità e della tradizione di  un prodotto dolciario che deriva dalla trasformazione di un agrume endemico della Sardegna. Francesca è la responsabile del presidio slow food di questa eccellenza alimentare della “Baronia”. La preparazione della ”pompia intrea” è molto complessa e lunga: ci vogliono 6 ore prima che questo dolce sia pronto. Si tratta di un dolce molto apprezzato, la cui origine è incerta, ma è certo che almeno 300 anni fa era già in uso. Oggi come allora, le famiglie di Siniscola preparano “sa pompia intrea” in occasione delle feste principali  .

La pompia è un tipo di agrume selvatico, ruvido e dalle origini misteriose che cresce spontaneamente in questa specifica regione. Qui la pianta si sviluppa senza bisogno di particolari cure e i frutti vengono raccolti manualmente tra la metà novembre e il mese di gennaio.

Il panificio artigianale Pau a conduzione familiare cerca di tenere in vita e portare avanti l’arte bianca antica del pane carasau, e la lavorazione di “sa Pompia” seguendo la tradizione con l’ausilio di pochi macchinari ma con il rispetto degli ingredienti originari.
Il loro intento è soprattutto quello di preservare per la memoria dei posteri la tradizione dolciaria e della panificazione che come altre tradizioni sono ritenute prossime a scomparire per effetto integratore della “civiltà moderna”.

Il loro orgoglio è quello di cercare ogni giorno di produrre buoni alimenti che siano presenti nelle tavole di chi è attaccato ancora all’alimentazione sana buona e giusta che offre la terra sarda.

Visite alle aziende e redazione degli articoli realizzati in collaborazione con la scuola Terramare.

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