Azienda di allevamento caprino di Efisio e Giuseppe Vargiu

by admin on 26/10/2014

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Lasciamo la strada provinciale che dal Comune di Pula conduce verso la zona di ”Is Smolas” superando campi da golf e vivai, serre e aziende agricole, per inoltrarci attraverso ombrose strade coperte dalle fronde dei giganteschi pini ad ombrello nella zona delle colline demaniali. In questa area, in passato dominava la vegetazione spontanea, la macchia mediterranea, che era stata completamente distrutta durante il ventennio fascista per far fronte alle richieste di legnami necessari per la costruzione della ferrovia. Successivamente si pensò di effettuare il rimboschimento dell’area con la piantagione dei pini.

Ci troviamo in una regione del territorio di Pula, caratterizzata da una sequenza di bassi, ma ripidi e improvvisi rilievi intersecati da piccole valli scavate e modellate sinuosamente dal percorso di un torrente. Del torrente, veramente si può vedere solo il letto formato da bianchi ciottoli levigati e ciottoli più consistenti di granito rosso, lo stesso granito rosso che delinea le ardite creste di queste colline che si inseguono, una dietro l’altra, senza soluzione di continuità. Il letto del fiume è completamente asciutto in questo momento, non piove da quasi un anno, ma nonostante la siccità, qui non sembra davvero che la vegetazione sia sofferente: le chiome dei pini sono straordinariamente verdi e rigogliose, l’unico segno di aridità è rappresentato dal letto pietroso del fiume, il resto del paesaggio è un oceano di fronde di colore verde smagliante; l’aria è satura dei profumi di resine e degli aromi dei piccoli arbusti della macchia residuale che, tra un pino e l’altro, cerca di riconquistare il proprio territorio.

Attraversiamo il letto del torrente e salendo per la scarpata della collina arriviamo alla cima, qui ci fermiamo tra due pini giganteschi, quasi abbagliati dalla luce improvvisa che penetrando nella pineta accende i colori e ingoia fino all’ultimo filo d’ombra. La foresta di pini si apre di colpo per mostrare una fantastica visione: un’ampia vallata rocciosa dalle pareti scarpate e appena ricoperte da una bassa gariga dalle varie tonalità del colore verde, in contrasto con il colore rosso delle colonne di granito che, si librano staccandosi dagli arbusti e tendendosi, come le canne di un organo roccioso, verso un cielo assolutamente azzurro.

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Tra il colonnato granitico e la sporadica gariga, il pendio della collina si fa radura e dalla radura si staccano le figure delle capre che ad una ad una, poi a decine, avanzano rapidamente scendendo lungo la ripida scarpata per raggiungere l’ovile dove troviamo Efisio Vargiu, il proprietario dell’allevamento caprino, che aspetta il rientro dei suoi animali, insieme al giovane figlio Giuseppe.

Efisio racconta che, fin da bambino aveva seguito il padre nell’attività, prima solo per gioco, poi per propria scelta. Non sembra che anche più avanti nel tempo, una volta diventato adolescente, fosse mai stato costretto ad abbracciare questo lavoro, anzi, il padre stesso, nel corso degli anni aveva cominciato a dedicarsi all’agricoltura, impiantando un vigneto di considerevoli estensioni in un terreno acquistato nella zona pianeggiante della fascia costiera di Santa Margherita di Pula. La sua intenzione infatti era quella di ridurre gradualmente il numero dei capi che componevano il gregge, per abbandonare definitivamente l’attività di allevatore di capre che richiedeva troppi sacrifici, non supportati da adeguati guadagni.

Al contrario del padre, invece, Efisio voleva incrementare la consistenza del gregge perchè considerava questa attività come la più importante. Deciso a dedicarsi anima e corpo ai suoi animali era riuscito a portare il numero delle capre a 500. Insomma, non ha mai pensato neanche per un momento di abbandonare quest’attività: ”Questa è la mia vita”! Dice Efisio senza ombra di esitazione o di ripensamento. Oggi, nonostante tutte le difficoltà, lo accompagna il figlio Giuseppe, anche lui profondamente convinto di volere seguire la strada tracciata dal padre accettandone tutti i disagi. Non c’è alcun dubbio. Sono uomini sicuri di sè, sanno cos’ è la vita autentica e non intendono rinunciarvi. Non vogliono cambiare la loro vita. Cominciamo a capire anche noi che, per loro, questo lavoro non è solo una passione, ma è uno stile di vita irrinunciabile. Non c’è spazio per desiderare qualcosa di diverso: questo è un modo di vivere secondo le regole e i ritmi della natura e, come dovremmo sapere, non è possibile andare contro natura.

Nonostante Efisio affermi di essere nato per fare questo lavoro e di non essersi mai pentito della strada intrapresa, denuncia le grandi difficoltà che si incontrano attualmente nel mercato e anche nella ricerca della disponibilità di grandi estensioni di terreno necessarie per il pascolo.

Purtroppo anche la tenacia e la sicurezza di un personaggio come Efisio è messa alla prova continuamente da questi problemi. Evidentemente questa è un’attivatà da salvare, sostenere e incrementare a qualunque costo. E’ impossibile che coloro che si occupano di politica economica non vedano il valore dei sacrifici compiuti dai pastori per salvare il proprio lavoro e garantire l’offerta di un prodotto di eccellenza al mercato. Chiunque si interessi di economia, capirebbe che occorre intervenire concretamente per supportare un’attività di primaria importanza come l’allevamento del bestiame. In altre parole, il settore della zootecnia per sopravvivere ha bisogno di tutele e di supporto economico. Efisio si chiede come mai i politici siano così ciechi da non vedere in quali difficoltà si dibattono gli allevatori come lui che, per esempio, deve pagare anche la concessione allo stato per poter utilizzare un’area necessaria al pascolo e alla vita del gregge. Questa è un’attività umana che va incontro alla totale estinzione.

Efisio esprime la sua amarezza: “noi ci sentiamo molto tristi quando vediamo che altri cittadini possono utillizzare la stessa area in cui pascolano le nostre capre, per l’esercizio della caccia, senza pagare niente, mentre noi dobbiamo pagare dei diritti allo stato per poter lavorare garantendo la sopravvivenza ai nostri animali e a noi stessi”.

Siamo all’interno del recinto anche noi. Efisio e Giuseppe sono all’ingresso dove le capre arrivano sfilando ad una ad una davanti a loro lasciandosi accarezzare sul collo. Entrando nel recinto ci scrutando con un’espressione incuriosita e tollerante allo stesso tempo: capiscono che noi non siamo molto in sintonia con l’ambiente, forse siamo una specie strana, ma infine, nonostante quella vaga ombra di diffidenza nel loro sguardo, si lasciano accarezzare anche da noi.

Efisio le riconosce ad una ad una e le chiama per nome. Sembra incredibile che si possa stabilire un così stretto rapporto affettivo tra ogni singolo animale e l’uomo.

Oggi, seguire un gregge come questo è molto più difficile che in passato, Efisio ci spiega che le difficoltà sono tante per cui il numero dei capi attualmente si è ridotto a 190. Comunque, si tratta pur sempre di un numero abbastanza grande per poter fissare in mente tutti i nomi…Cerexia, Bellina, Scamminada, Sposixedda, Scriana, Rubidosa, Anixedda…e…non possiamo elencarli tutti…

Chiamare gli animali per nome è un atto di riconoscimento di fondamentale importanza perchè ciascun animale possa acquistare una propria identità e stabilire un rapporto individuale e unico con l’uomo, sviluppando così un atteggiamento di totale fiducia nei suoi confronti. Un legame che si stabilisce dal momento della nascita e durerà fino alla morte dell’animale: il pastore dovrà poi riconoscere e dare ai cuccioli lo stesso nome delle rispettive madri. Solo un padre affettuoso può essere in grado di ricordare 190 nomi e riconoscere fisionomicamente ogni singolo animale, ma questo suo affetto è ben ricambiato in quanto consente all’uomo di assumere il pieno controllo del gregge e lavorare in totale simbiosi con esso.

Per avere il controllo del gregge, a parte la relazione simbiotica tra l’animale e l’uomo, vi sono molto altre conoscenze che il pastore deve acquisire. La principale fonte di reddito è rappresentato dal numero dei capretti che vedrà la luce e che potrà essere venduto, perciò, il pastore deve seguire puntigliosamente tutto il ciclo riproduttivo di ciascun animale in quanto il suo principale obiettivo è quello di assicurarsi la massima consistenza numerica della figliata. Questa consistenza è dovuta soprattutto alla razza, alla stagione, al numero dei parti e allo stato di nutrizione dell’animale. E’ necessario individuare il periodo estrale del becco; fare una diagnosi di gravidanza della femmina e tener conto che, in caso di mancato concepimento durante la stagione riproduttiva, molti animali torneranno in calore da 17 a 23 giorni dopo l’accoppiamento.

Seguendo il ciclo riproduttivo, Efisio e Giuseppe devono annotare scrupolosamente tutti i dettagli come, l’inizio del periodo in cui il becco va in cerca delle femmine per la monta (giugno – agosto/settembre) e le date precise in cui ogni fattrice si accoppierà. Dal momento del concepimento bisognerà contare i giorni, perchè da quella data, dovranno passare 5 mesi meno 5 giorni (tale è la durata della gestazione), prima che il capretto possa vedere la luce. Efisio e Giuseppe devono rendersi conto dell’avvicinarsi del momento del parto per fare in modo che questo avvenga possibilmente all’interno dell’ovile e sotto il loro controllo.

La capra che partorisse durante le ore del pascolo, lontano dall’ovile potrebbe trovarsi in difficoltà e senza l’intervento dell’uomo potrebbe perdere il capretto o mettere in pericolola propria vita, procurando così una grave perdita al pastore. A questo proposito, Efisio si dichiara molto orgoglioso di Giuseppe che, sorprendentemente, secondo lui, dimostra grande abilità e destrezza manuale nell’ intervenire in aiuto della capra o del nascituro. Per esempio, nel caso in cui il capretto si trovi in una posizione sbagliata al momento della nascita causando gravi difficoltà alla partoriente, Giuseppe interviene prontamente e con successo allievando il travaglio della madre e facilitando la nascita del cucciolo.

Qualche volta può succedere che la capra al momento del parto si trovi lontano dal recinto, ma in tal caso, siccome il piccolo è immediatamente in grado di reggersi sulle sue zampine e arrivare fino alla madre e attaccarsi alla mammella, la capra non si allontana dal cucciolo nei suoi primi giorni di vita, per evitare di esporlo al rischio di divenire preda di altri animali. A circa tre giorni dalla nascita, quando le zampe del capretto sono abbastanza robuste e in grado di percorrere senza incidenti il tragitto fino all’ovile,la madre vi fa ritorno insieme al suo cucciolo. Nella quasi totalità dei casi, comunque, il parto avviene sotto il controllo di Efisio e Giuseppe.

Nei primi 35 – 40 giorni della loro vita i capretti passano il tempo tra il grande recinto e la propria cuccia di legno costruita dal pastore per proteggerli dal freddo e dagli eventuali predatori. In questa cuccia, ogni 24 ore, la mattina, al rientro della madre, ogni capretto riceve la sua poppata. Purtroppo il capretto, che rappresenta la principale fonte di reddito del pastore, è destinato al mercato. Solo una minima parte dei capretti sarà scelta per integrare il gregge. Un prodotto particolarmente richiesto è il caglio, un tipico formaggio che non è il risultato di un processo di lavorazione, ma è costituito dallo stomaco del capretto, estratto all’atto della macellazione. Questo drammatico evento che pone fine alla vita del cucciolo, ha luogo quando l’animale, raggiunto il momento della sua commercializzazione, viene preso e macellato dopo l’ultima poppata dell’ultimo giorno della sua vita. Il suo piccolo stomaco che al momento della estrazione è pieno del latte materno, viene successivamente sottoposto per 2 -3 giorni ad un processo di affumicamento per essere poi venduto allo stesso acquirente del capretto.

 

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