Abbiamo visitato il frantoio della famiglia Rubiu gestito attualmente da Nicoletta Rubiu che ha ereditato la proprietà dello storico frantoio dal padre, il quale aveva già avviato l’attività negli anni 50. Questo frantoio rappresentava un centro di produzione olearia all’avanguardia per quel periodo in questo distretto agrario che forse, per la produzione olearia è sempre stato il più importante della regione del Sulcis-Iglisiente. Queste dolci colline affacciate sulla costa dell’estremo sud della Sardegna godono di una posizione ideale per lo sviluppo dell’ulivo che insieme alla vite rappresenta la coltura più diffusa. La specie più utilizzata per la produzione dell’olio è rappresentata dalla “Bosana“, accanto alla “tonda di Cagliari” specie risultante da una serie di incroci ottenuti da successivi innesti praticati sui secolari o millenari ulivi di cui il territorio è ricco. Coltivato, invece, sopratutto per la conservazione del prodotto in salamoia è l’ulivo di “Pizz’e Carroga“.
Entriamo nel frantoio e allo stesso tempo siamo dentro quella tipica atmosfera densa del profumo amarognolo dell’oliva frantumata, dove piccoli gruppi di donne e uomini attendono il turno della macinazione delle proprie olive sostano piacevolmente immersi in questo profumo e scambiandosi una serie di informazioni di cui è difficile captare le parole, ma al cui contagio non ci si può sottrarre. Lo stesso ambiente, le stesse sensazioni che si potevano sentire entrando nel frantoio di una volta.
Certo, oggi non troviamo la possente macina di granito che è stata comunque conservata dalla famiglia con le cure dovute a un monumento storico, non c’è più il bue che con la sua forza muscolare faceva ruotare la macina sotto la quale le olive si frantumavano, spruzzando tutto intorno il liquido giallo dal profumo amarognolo così tipico del frantoio e intorno al quale si raccoglieva tutta la comunità. Oggi mancano tutti questi elementi che si potevano ritrovare in un frantoio dello scorso secolo, ma rimane la stessa atmosfera: profumi mediterranei e la presenza dei proprietari delle olive che, rilassati, aspettano il turno della macinatura ben contenti di concedersi il piacere ineguagliabile di assistere ai vari passaggi che le proprie olive dovranno subire per essere definitivamente trasformate nel dorato liquido che sarà l’ingrediente base indispensabile per la preparazione di qualunque piatto presente sulle loro tavole: dalla semplice bruschetta intrisa d’olio da degustare, alle insalate più diverse, dalla base per i sughi agli stufati. Qualunque piatto per essere preparato avrà bisogno di questo indispensabile ingrediente: l’olio.
Le olive portate dai singoli proprietari vengono depositate dentro dei contenitori quadrati in attesa di essere trasferite in un apposito carrello ribaltabile e da qui passate in un grande contenitore a forma di imbuto che, dopo averle ingoiate, le rilascerà per consentire il loro passaggio su un nastro rotante, il quale ha il compito di trasportarle nella tremoggia che, liberando le olive da tutti i corpi estranei che le accompagnano fin dal momento dalla raccolta (terriccio, foglie, rametti e quant’altro), le trasferisce nella lavatrice dove vengono lavate nell’acqua corrente. Una volta lavate, le olive entrano nel frantoio che le ridurrà in un mix composto dalla fragrante poltiglia oleosa e dai frammenti duri e amarognoli del nocciolo. Questo mix viene suddiviso in differenti vasche munite di lame rotanti che trasformerà la poltiglia in una pasta più omogenea, la quale sarà poi indirizzata nella seconda centrifuga a più elevato numero di giri, in grado di dividere la parte solida dalla parte oleosa. La sansa (la parte legnosa) viene espulsa attraverso un tubo che la conduce all’esterno. L’acqua seguirà la sua direzione e l’olio sarà raccolto in un contenitore, pronto per essere imbottigliato e portato a casa dai singoli proprietari. Gli scarti componenti la sansa possono essere usati in modo diverso: come mangime per gli animali (maiali, galline); dopo un periodo di compostaggio, come ottimo emendante vegetale del terreno, rientrando così nel ciclo biologico completandolo.
Un terzo modo di utilizzare gli scarti è quello di sottoporre la sansa ad un successivo passaggio di trasformazione con il risultato di separare ulteriormente le parti più dure del nocciolo che costituiranno un sorta di pellet da usare come combustibile per il riscaldamento.