Azienda AgroBiologica e Caseificio Le Tofane

by admin on 26/09/2018

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Avanzando per una strada bianca lunga e dritta, la stessa strada che conduce ai piedi delle colline del Parco Nazionale della Maremma; girando a 90 gradi due volte, dopo aver superato un campo di grano, siamo arrivati all’azienda “Le Tofane”. Siamo ad Alberese, la piccola frazione di Grosseto disegnata negli anni ’30 del secolo scorso per essere popolata dalle famiglie degli assegnatari provenienti principalmente dal Veneto e da alcune zone interne della Toscana.

Come le altre presenti nel territorio, anche questa azienda si è costituita nel dopo-guerra, quando ancora una volta i latifondi in parte abbandonati dai proprietari in parte ricoperti di acqua stagnante, venivano sottoposti a interventi di drenaggio e bonificati attraverso la tecnica della “colmata”, dopo essere stati espropriati dallo Stato. Si attuava così la grande riforma agraria degli anni 50 progettata dopo la II Guerra Mondiale: le terre appartenute fino ad allora ai latifondisti, venivano frazionate in piccoli fondi che venivano successivamente dotati di una casa colonica. In genere, ogni fondo consisteva in una estensione di terreno coltivabile della estensione di 8-20 ettari, per il cui riscatto, i contadini dovevano pagare un canone annuo.

I contadini, che in passato lavoravano attraverso il bracciantato stagionale o sottoscrivendo con i proprietari dei contratti di mezzadria (contratto abolito dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana -1° gennaio 1948 – perché svantaggioso per i contadini coltivatori), ben volentieri accettavano la nuova condizione di assegnatari di terre bonificate, che dava loro la possibilità, pur pagando un canone annuo allo Stato, di riscattarne la proprietà.

Come per tutte le altre zone paludose delle “Maremme” della Toscana e del Lazio, anche in questi territori, la realizzazione della Riforma Agraria, portava a compimento l’opera di bonifica delle paludi iniziata negli anni precedenti la guerra, poi interrotta, e che consisteva nel drenaggio delle acque stagnanti attraverso la costruzione di canali collegati alle idrovore e nel livellamento del suolo attraverso la tecnica delle colmate.

L’estensione dell’azienda “Le Tofane”, non è mutata dagli inizi degli anni ’50, da quando il padre dell’attuale imprenditore-proprietario, Daniele Francioli, aveva ricevuto il fondo in assegnazione, infatti, come allora, si aggira intorno ai 25 ettari.

Il padre di Daniele era già un contadino molto avanzato, sempre propenso a innovare i sistemi di coltivazione, a introdurre l’allevamento del bestiame e ad accogliere con entusiasmo l’introduzione dei primi mezzi meccanici per la coltivazione. Fu uno dei primi agricoltori ad acquistare macchinari come trattori ed altre attrezzi motorizzati per la lavorazione della terra e la coltivazione, imparando ben presto anche a riparare da sé i propri mezzi, quando se ne presentasse la necessità.

Questa abilità, una volta acquisita gli permise anche di installare un’officina meccanica per la riparazione di mezzi meccanici e trattori degli altri contadini della zona, tanto che questa attività divenne il suo secondo lavoro.

Daniele ha sempre coadiuvato il padre nell’attività dell’azienda, e così anche lui, vivendo qui e grazie alla sua manualità ha imparato riparare qualsiasi attrezzo meccanico.

Traendo esperienza dal lavoro in azienda ma anche dalle nozioni imparate alla scuola di agraria, e, sicuramente anche seguendo l’esempio paterno, di tanto in tanto ha voluto sperimentare nuove forme di coltura e di allevamento, per esempio, per un lungo periodo ha curato un allevamento di colombe e negli anni ’80 ha impiantato una piantagione di kiwi che in quel periodo era molto richiesta dal mercato e assicurava un ottimo guadagno. Purtroppo però, via via, il prezzo del kiwi è diminuito fino a crollare del tutto per effetto della globalizzazione. Questo processo di trasformazione dell’economia ha causato tanti problemi a molti contadini e, infatti, molti di loro hanno dovuto vendere i loro fondi, abbandonare il loro lavoro per dedicarsi ad altre attività; altri hanno cercato di convertire le risorse trasformando le loro strutture in agriturismo e anche Daniele per almeno 10 anni è dovuto andare a fare il lavoro del buttero, ma questa esperienza, dice lui, è quella che ricorda con maggiore piacere, tanto che considera quel periodo come la parte più bella della sua vita.

Però la vita qualche volta ti riporta alle origini, e così eccolo di nuovo qui a condurre questo lavoro nella stessa azienda che l’aveva visto nascere e crescere e che lo aspettava per vederlo proseguire per la strada tracciata dal padre.

Dal 1998 ha avviato l’allevamento biologico delle pecore. Anche le colture da quel momento sono state finalizzate all’allevamento degli animali, quindi, gli appezzamenti di terra, un tempo coltivati a vite, sono strati convertiti in foraggere. Il gregge formato da centinaia di capi è suddiviso tra le pecore di razza francese, “Lacaune” , che garantiscono una buona produttività di latte e quelle di razza sarda.

Anche questa razza assicura una buona produzione di latte, ma soprattutto è alquanto resistente alla carenza dei pascoli verdi: una razza molto frugale. Il periodo di produzione del latte generalmente è limitato a 6 mesi all’anno. Potrebbero partorire 2 volte all’anno e quindi assicurare un più lungo periodo di produzione di latte, ma Daniele preferisce far loro affrontare solo un parto per avere una migliore qualità di latte ed un minore sfruttamento dell’animale.

Durante la nostra visita abbiamo potuto vedere il gregge già ricoverato all’interno dell’ovile che si nutriva di foraggio sotto lo sguardo attento, ma rilassato di un bellissimo Pastore Maremmano, mentre gli ultimi raggi di sole superando i contorni delle colline del Parco Naturale, quasi di rimbalzo arrivavano sull’ovile illuminando la scena e regalandoci un’immagine di grande suggestione.

Intorno a noi si estendono i campi destinati alla coltivazione del grano e dei foraggi.

Campi che si arrampicano fino a lambire i pendii a tratti ripidi e a tratti ondulati dei Monti dell’Uccellina.

Tra i campi si intravede la lunga e dritta strada che continuando per Alberese, si perde nella pianura per condurre fino alle spiagge incontaminate del Parco Naturale Della Maremma.

Questi sono i campi dove Daniele, oltre a seminare il grano e i foraggi per le sue pecore, ha cominciato a seminare il lolium e altre graminacee.

Parlando dell’insieme dei motivi di soddisfazione e delle ragioni che creano preoccupazioni ai contadini e agli allevatori, oltre che della globalizzazione, Daniele fa riferimento al grave tema dei mutamenti climatici che provocano lunghi periodi di siccità alternati a improvvisi temporali e piogge torrenziali: fenomeni che provocano frequenti fenomeni di calamità naturali e ingenti danni economici all’agricoltura e all’allevamento.

Durante gli ultimi anni, anche il lupo è diventato un problema per gli allevatori. Non si sa come mai l’animale, si sia riprodotto in così grande numero in pochi anni, tanto da diventare una minaccia costante per gli animali di allevamento. Nonostante nel parco ci siano molte altre prede come daini, cinghiali e caprioli, i lupi preferiscono cacciare le pecore perché sono prede più facili.

Daniele ritiene che debba essere l’uomo a apprestare un sistema di protezione dei propri animali, anziché inveire contro i lupi.

Per fare questo ha montato una foto-trappola con la quale ha registrato ben 25 video in cui si vede ogni tanto qualche lupo che arriva in ricognizione prima di fare avanzare il branco per attaccare le prede.

I sistemi di difesa quindi esistono e sono semplici. Basta tenere le pecore dentro dei recinti sufficientemente alti e far montare la guardia ai cani come gli ottimi custodi del suo gregge: due splendidi pastori maremmani! Quando i lupi arrivano vicino al recinto, i cani cominciano a abbaiare, ma nonostante tanto abbaiare, i cani non potrebbero vincere in un combattimento contro i lupi. Di contro, i lupi sanno bene che anche una piccola ferita, provocata in un combattimento, potrebbe essere per loro fatale, quindi preferiscono allontanarsi anziché affrontare un combattimento. La minaccia dei lupi può intensificarsi quando le pecore sono lasciate libere al pascolo sui prati rinverditi, ma anche in quel caso si possono approntare dei sistemi di difesa ed esercitare un controllo più assiduo.

Daniele ha un piccolo e modernissimo caseificio dove siamo potuti entrare per apprezzarne la perfetta pulizia e la manutenzione rigorosa. L’azienda ha una certificazione CE che consente l’esportazione dei formaggi qui prodotti in tutta l’Unione Europea.

Per produrre il formaggio si utilizza un grande contenitore in acciaio dotato di una paratia dove circola l’acqua calda che per induzione riscalda il latte lentamente e senza pastorizzarlo, ma portandolo solo alla temperatura di 62°, per pochi secondi.

Questo sistema di riscaldamento che prende il nome di “termizzazione” è in grado di eliminare nel latte crudo i germi ed i batteri nocivi. Attraverso questo processo di riscaldamento si mantengono le caratteristiche organolettiche così che si può sentire il sapore differente del latte e quindi del formaggio che da questo viene prodotto.

Infatti, in questo modo si conservano intatti gli elementi contenuti nei cibi che una volta ingeriti dall’animale vengono metabolizzati e assimilati da tutte le cellule, trasmettendo al latte gusti diversi a seconda delle sostanze in essi contenute. Invece, il processo di pastorizzazione del latte, eliminando le caratteristiche organolettiche, annulla le differenze di gusto tra i diversi tipi di formaggio.

Per produrre il formaggio si porta la temperatura del latte solo fino ai 38˚C, dopo di che si aggiunge il caglio, quindi si aspetta circa una mezz’ora per far sì che il latte coaguli dando luogo alla formazione compatta della “cagliata”, la concentrazione in forma gelatinosa della parte grassa del liquido.

E’ interessante osservare che Daniele, anziché usare la cosiddetta “lira” (attrezzo tipico che prende il nome dalla sua somiglianza con l’omonimo strumento musicale a corde) per tagliare la cagliata, usa uno “spino, invece, che è un attrezzo con un manico e alcuni anelli di acciaio che formano una specie di sfera.

Dopo aver tagliato la cagliata in parti di grandi dimensioni, queste vengono strizzate, compresse suddivise e ulteriormente pressate all’interno delle “fuscelle” forate appositamente per consentire la completa fuoruscita del siero. Questo è un lavoro che deve essere eseguito con grande rapidità per evitare grosse differenze tra le prime forme e le ultime forme del formaggio.

Quando tutta la cagliata ottenuta è sistemata dentro le fuscelle, quello che rimane del latte, cioè il siero, dovrà essere riscaldato all’interno dello stesso contenitore per consentire il concentrarsi, sulla superficie del liquido, delle rimanenti particelle di grasso in fiocchi, che aggregandosi daranno luogo ad un nuovo tipo di formaggio, molto più magro e da consumarsi fresco: la ricotta.

Pur non avendo la denominazione DOP, i formaggi prodotti da Daniele in collaborazione con sua moglie presentano una notevole varietà: formaggio al pistacchio, al pepe rosso a al tartufo; formaggi freschi, semi-stagionati e altri ancora. Insomma, ce n’è per tutti i gusti!

Tra l’altro, l’azienda ha in vendita anche formaggi di altri produttori e caseifici. Un esempio per tutti è il “formaggio di fossa, un sistema in cui i formaggi sono fatti stagionare in vere e proprie fosse scavate nella roccia. Secondo Daniele, questo metodo di stagionare i formaggi è stato scoperto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i contadini nascondevano le provviste in fosse scavate in terra sotto le loro case, per preservarle da eventuali razzie.

In collaborazione con l’azienda Birra Maremmana, questa azienda offre anche il formaggio Pecorino “alla Birra”.

Un altro prodotto proprio dell’azienda è lo yogurt, per la produzione del quale, Daniele si è dotato di un macchinario molto avanzato che è in grado di registrare tutti i dati rilevanti, ai fini dell’ottenimento di una buona qualità del prodotto, durante il processo di trasformazione da cui si generano i fermenti lattici che permettono la formazione dello yogurt.

Oltre alla produzione dei latticini, con il contributo essenziale della moglie di Daniele, che si occupa della raccolta di mirtilli, albicocche, pere e anche altri frutti da trasformare, l’azienda offre alla sua affezionata clientela, anche una straordinaria varietà di confetture.

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