Su Forru ‘e su Pani di Efisio Carta

by admin on 31/10/2014

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Siamo a Teulada.

Qui la storia millenaria della popolazioni autoctone si è arricchita di influssi culturali provenienti, attraverso il mare, da altre terre, portati da altri popoli: micenei, fenici, punici e romani, bizantini e spagnoli.

Varie culture, prima accolte e poi assimilate, o forse catturate dall’ ospitalità e dall’ avvedutezza dei popoli nuragici; da quella lungimiranza che suggerisce l’accoglienza e la comprensione verso chi viene da lontano con intenzioni pacifiche.

Le antiche culture sono state in grado di esaltare le proprie peculiarità, preservandole e affinandole sempre più, evolvendosi e intessendo le trame delle più antiche radici con le successive esperienze.

Incontrando le donne e gli uomini che rendono questa terra ricca delle loro idee e delle loro abilità creative e produttive, non sfugge la grande apertura mentale, la sicura consapevolezza che la propria cultura è ben radicata nella più lontane origini.

La naturalezza e l’intelligente, raffinata accoglienza che riservano agli ospiti non sono dettate dall’opportunismo, ma è chiaro che sono i risultati di un lungo cammino culturale.

Teulada è ricca di bellezze naturali: le coste e le lagune, i porti e le cale puntualmente definite da promontori e da torri di avvistamento medievali e rinascimentali; rocce granitiche e pascoli; boschi, vigneti e uliveti; animali di allevamento e fauna selvatica si muovono e si riproducono tra radure e boschi; le dune costiere di finissima sabbia bianca separano il mare aperto, dagli altri specchi di mare interno, dalle lagune. Numerosi bacini d’acqua salmastra tratteggiano la costa meridionale della Sardegna; specchi lagunari multiformi e frequenti, dove numerose specie ittiche marine e di acqua salmastra convivono.

Tante nicchie ecologiche ancora miracolosamente intatte hanno intrappolato nicchie di cultura umana aggregata sapientemente e radicata a un territorio da cui trarre vita.

Tra queste nicchie culturali e produttive troviamo “su Forru ‘e su pani”, il panificio e il forno di Efisio Carta.

Il laboratorio dove noi entriamo, un poco in punta di piedi, consapevoli d’essere stati ammessi ad assistere allo straordinario rito della panificazione, è un luogo dove ogni notte si forgia, sotto il lavoro incessante di braccia, la pressione dei palmi delle mani e dei polpastrelli , l’alimento primo della nostra vita.

Da quando l’uomo ha potuto seminare, raccogliere e trasformare i preziosi semi del grano, quest’arte si è sempre più evoluta dando vita ad una infinita varietà di forme e di impasti che pur avendo come elemento principale la farina, a seconda delle dosi con cui questa viene sapientemente miscelata ed in base alle diverse percentuali di acqua, di lievito, di miscugli di grani e di semole amalgamati tra di loro, può dar luogo a innumerevoli risultati. Tutti diversi, ma tutti destinati ad arricchire le nostre tavole.

Qui, come in altre parti del mondo, si fa il pane durante la notte, mentre la città piano piano si assopisce, i rumori si rinchiudono gradualmente nelle stanze più interne e sul paese sembra calare la pace totale, qui si sfornano ogni notte decine e decine di tipi di pane, di pizzette, panini, biscotti, pani rituali, originariamente preparati per le più importanti festività religiose, come “ su coccoi pintau”, o il “pane dei morti”: una fragrante e tenera pagnotta da donare in memoria dei propri cari estinti, agli amici e ai conoscenti, in occasione del giorno dedicato ai morti.

Infine, “Sa Tunda”, pane rotondo e morbido tipico di Teulada, fatto di semola e “frammentu sardu” (lievito madre), con sette pizzi, uno per ogni giorno della settimana, il cui scopo era quello di scandire il tempo che intercorreva tra una panificazione e l’altra.

Una volta pronto, l’impasto si trasferisce su una spianatoia di legno, si taglia un pezzo da 500/700 gr con un coltello e gli si da una forma tonda e liscia,cercando di metterlo in forza senza strappare la pasta. con il palmo della mano si appiattisce il pezzo, lasciando in mezzo un bernoccolo di pasta. Si tira su il bernoccolo stringendolo con i palmi e tirandolo verso l’alto con dei movimenti rotatori. Si continua ad appiattire la pasta, sino ad uno spessore di 30 mm.

Come sia possibile realizzare tutto con tale precisione, noi non riusciremo mai a capirlo.

In questo laboratorio c’è una famiglia intera che dalle prime ore della sera comincia a preparare impasti che daranno vita al pane per l’intera comunità territoriale.

Sappiamo che in Sardegna esistono almeno diverse centinaia di pane, ma mai avevamo avuto il privilegio di verificare come un panificatore sia capace di creare da un informe impasto, tutto da apprezzare per la sua compattezza, elasticità e consistenza, ma comunque senza forma, un’innumerevole serie di varietà di altre piccole forme.

Efisio lavora con la pressione delle proprie mani, con la forza delle sue braccia e l’abile gioco di polsi e polpastrelli, la voluminosa massa pastosa allungandola, spezzandola, dividendola e arrotondandola, fino a farla rotolare con la pressione dei palmi delle mani e infine tagliandola a velocità indescrivibile in tante pezzature, ognuna destinata a dar vita a diversi pani.

Al nostro arrivo troviamo tutta la famiglia che, con l’aiuto indispensabile di Angelo, stava lavorando alla creazione di “su coccoi pintau”, dalle fantastiche forme di animali come porco spini e galletti, e floreali, come rosette e gigli, coccois a spirale e a forma di corona…

Il coccoi è un pane tipico della Sardegna destinato alle ricorrenze festive, alle cerimonie, ai rituali del matrimonio, del battesimo o della Pasqua. La realizzazione di questo pane artistico richiede, dopo la foggiatura delle più diversificate forme ottenute sotto l’azione velocissima e assolutamente mirata dei movimenti delle dita sull’impasto, una rapida e impercettibile sequenza di tagli praticata con delle forbici sui bordi più esterni e in punti predeterminati , situati a distanze regolari. Tagli che hanno la funzione di decorare, ma anche di consentire una cottura uniforme, una doratura graduata in nuance più o meno intense e la croccantezza desiderata.

Veniamo immediatamente coinvolti dall’atmosfera calda e familiare e dalle parole amichevoli di Efisio e di Assunta, dai loro dolci sorrisi, accompagnati da sguardi vellutati e stanchi. Occhi neri, comunicativi, pieni di espressioni familiari .

La naturalezza di tutte le persone presenti ci cattura immediatamente. Oltre ad Efisio ed Assunta è presente la figlia Debora e la nipotina Vanessa che gioca a fare il pane. E’ un gioco sì, ma straordinariamente serio, così, quasi senza coinvolgimento, ma con mirabile destrezza, sotto la pressione lievissima dei suoi minuscoli polpastrelli (Vanessa ha solo 7 anni) che giocano foggiando e modellando la pasta, per pura magia, dalle sue manine salta fuori un piccolo “coccoi pintau”. Quale meraviglia, per noi, assistere a questa fantastica creazione!

Efisio racconta che anche lui, come la nipotina, ha sempre fatto questo lavoro fin da bambino imitando i gesti e traendo la consapevolezza dei risultati da ottenere, attraverso l’osservazione dei gesti della madre e della nonna. Sì, Efisio ha fatto sempre questo lavoro, e forse, come la nipotina Vanessa, che giocando riproduce tutte le forme che ha visto realizzare dai suoi nonni e dalla mamma Debora, ha cominciato a fare il pane giocando.

E poi, eccolo tirare fuori dalle sue mani “sa tunda”, morbido pane arrotondato e liscio, tipico di Teulada, e quindi le focaccine, le pizzette, le baghette, su civraxiu e tante altre forme di impasto, che ora sono impasto forgiato e che dopo saranno “pane”.

E c’è Angelo! Che spettacolo imperdibile e avvincente! Lui muove entrambe le mani, manipolando due differenti pezzi di pasta. Le sue mani muovendosi indipendentemente l’una dall’altra, ma in sintonia e senza mai interrompere l’attività o cambiarne il ritmo, creano due identiche forme delle stesse dimensioni in pochi secondi: due alla volta!

Muove le mani mollemente e dolcemente, sembrerebbe, senza la minima fatica. Sono le sue mani che catturano la nostra prima attenzione, ma ad una più attenta osservazione si riesce a capire che il movimento delle mani è guidato dall’impercettibile spinta delle sue braccia e della sua schiena. Infine è la mente che decide come dirigere ogni fibra del suo corpo concentrato e lievemente piegato su quell’incredibile compito, eseguito con estrema speditezza e precisione, verso il risultato voluto.

Siamo ipnotizzati dai loro movimenti sapienti, continui, veloci e ritmati; siamo catturati dalla fluida e ininterrotta conversazione di Efisio. La sua voce è ricca di sfumature, di timbri e di toni diversi. Le sue parole seguono lo stesso ritmo veloce, ma lieve dei suoi movimenti . E’ modulare, così come lo sono le taglie dei pezzi di impasto destinati a modificarsi continuamente sotto la pressione delle sue mani.

Sono le 9 e mezza e per la piccola Vanessa è tempo di andare a dormire perché domani mattina deve andare a scuola. Abbandona malvolentieri i suoi pezzetti di impasto sulla spianatoia, ma la nonna Assunta, dal viso buono e dalla espressione generosa, la prende per mano con sicurezza, ci salutano e vanno a casa.

Noi continuiamo a seguire l’attività di Efisio e Angelo, senza riuscire a staccare gli occhi dalle loro mani. Come è possibile che dopo tre ore di lavoro (è solo mezzanotte adesso, ma loro lavorano dalle 20 e continueranno fino alle 6 ), questi uomini continuino a manipolare, a decorare con velocissime sforbiciate sui bordi dei panetti pronti per essere trasformati in coccoi pintau, a tagliare e a depositare nelle casse di legno che poi verranno coperte con panni bianchi, i piccoli impasti ormai diventati pani, panini, pizzette, rosette, civraxiu, coccoi, focaccine, il “pane del morto”, “sa tunda”, etc…?

L’impasto è stato tutto utilizzato, ci sembra, ma invece, da altre impastatrici vengono estratte ancora altre masse di impasto che aspettano di essere trasformate in pani. Gli impasti sono apparentemente uguali, ma in realtà cambia la loro consistenza e la loro tipologia in base al tempo di lievitazione, in base alle diverse percentuali si semola di grano duro o di farina 0 ; in base ai rispettivi tempi di riposo; alle percentuali di acqua; alla manipolazione e alla foggia.

Tutti gli impasti comunque, dopo avere superato i rispettivi tempi di posa, subiscono lo stesso processo.

Saranno manipolati, allungati, arrotolati, tagliati, pezzati, ancora manipolati e arrotondati, contorti o schiacciati, spianati e decorati sulla spianatoia, per poi essere infornati e sfornati senza sosta. I due uomini continuano e continueranno a lavorare sempre con lo stesso ritmo fino a quando tutto il pane non sarà sfornato e nella quantità richiesta dalla clientela… Fino alle 6 del mattino, quando di nuovo, i silenzi della notte riacquisteranno voce e le strade si rianimeranno. Quando sarà ora di aprire il negozio i banchi e gli scaffali saranno straripanti e la gente comincerà ad entrare nel panificio per richiedere il proprio quantitativo di pane giornaliero.

A mezzanotte e mezzo andiamo via. Loro restano.

Il giorno dopo, alle dieci, quando torniamo nel negozio per salutarli, troviamo Debora, la giovane figlia di Efisio, che vende gli ultimi “pani del morto”, tutto il resto è sparito, già venduto…tutto!

Nei banchi vuoti è rimasto solo il profumo del pane…ed una sensazione di piacevole attesa…Sì…perché domani, i banchi si riempiranno ancora di queste fragranti meraviglie.

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